blocco liberale qualunquista di Randazzo, provincia di Catania, Pallante si procurò una vecchia pistola e attese il segretario del Partito Comunista Italiano fuori da Montecitorio colpendolo alla schiena e alla nuca. Il suo intento era quello di bloccare l’invasione sovietica in Italia. Mentre le condizioni di salute di Togliatti erano altalenanti, in tutte le città si scatenò il pandemonio. Le rappresaglie si conclusero con un bilancio pesantissimo più di venti morti e duecento feriti. A Pisa la vendetta comunista si scatenò contro Vittorio Ferri, 20 anni, ragioniere di professione, studente alla facoltà di Scienze Economiche e militante del Movimento Sociale Italiano. Le strade cittadine erano bloccate e presidiate costantemente da scioperanti. Uno di loro, alla vista del giovane ragioniere, sostenne che si trattasse di un famigerato uomo del Movimento Sociale Italiano che aveva partecipato al comizio di Giorgio Almirante addirittura dello scorso aprile. Vittorio Ferri fu completamente circondato ma riuscì a rompere il cerchio del primo gruppo e saltò su una carrozza che stazionava nelle vicinanze. Tentava in qualche modo di sottrarsi ad una morte certa. La carrozza si avviò a corsa sfrenata verso in centro città e cominciò il tragico inseguimento. Poco prima di raggiungere Piazza dei Cavalieri, Vittorio Ferri, estrasse la pistola e sparò. Ormai raggiunto fu tratto a forza dalla carrozza e linciato da mille mani e da mille piedi e poi giustiziato con tre colpi di pistola al torace e infine alla testa. Trasportato subito dopo in ospedale, i medici constatarono il decesso. Il processo, per esplicita richiesta dei parenti, per evitare turbamenti dell’ordine pubblico, iniziò dopo alcuni anni a Firenze. Furono incolpati di concorso in omicidio per aver infierito su un corpo agonizzante, Nello Bensi, operaio che morì prima della fine del processo, e Ivo Senesi, ex partigiano della Nevilio Casarosa iscritto al Partito Comunista Italiano. Invece, la persona che sparò contro Vittorio Ferri non fu mai identificata.
mercoledì
Figlio di commercianti, diplomato in ragioneria e studente alla Facoltà di scienze economiche, Vittorio Ferri si iscrisse nel dopoguerra al nascente MSI. Il 14 luglio del 1948, durante i moti che seguirono l'attentato a Togliatti ad opera di Antonio Pallante, circondato e forse inseguito da manifestanti, fu ucciso da quattro colpi di pistola sparati da ignoti.
Nel pomeriggio del 14 luglio del 1948, mentre erano in corso le manifestazioni suscitate dall'attentato a Togliatti, Ferri fu riconosciuto da alcuni giovani manifestanti in via Risorgimento a Pisa; impaurito si allontanò prima a piedi e poi su di una carrozza, diretto verso Borgo Largo. In piazza dei Cavalieri, dove stava per svolgersi un comizio della Camera del Lavoro, la sua carrozza venne circondata da una folla di manifestanti. Ferri, che era armato, sparò sette colpi di pistola (i primi due in aria, gli altri ad altezza d'uomo), ferendo due persone, tra cui il bracciante Ferdinando Cazzuola, colpito a una guancia. Nella colluttazione successiva una o più persone spararono; Ferri, ferito a morte, cadde a terra all'imbocco di via Consoli del Mare.
La folla inferocita infierì a quel punto sul corpo di Ferri agonizzante, sputando e prendendolo a calci. Ferri fu trasportato subito dopo in ospedale, dove i medici constatarono il decesso.
La morte di Ferri venne ricordata a Pisa negli anni successivi come "un classico linciaggio" politico, senza una ricostruzione esatta del modo in cui si erano svolti gli eventi.
Il processo, per esplicita richiesta dei parenti dell'ucciso, per evitare turbamenti dell'ordine pubblico, iniziò dopo alcuni anni a Firenze.
Per la morte di Ferri, incolpati di concorso in omicidio per avere infierito su un corpo ormai agonizzante, furono condannati Nello Bensi, un operaio che morì prima della fine del processo, e Ivo Senesi, un ex partigiano della “Nevilio Casarosa” iscritto al Pci. La persona che aveva sparato contro Ferri non fu mai identificata.
blocco liberale qualunquista di Randazzo, provincia di Catania, Pallante si procurò una vecchia pistola e attese il segretario del Partito Comunista Italiano fuori da Montecitorio colpendolo alla schiena e alla nuca. Il suo intento era quello di bloccare l’invasione sovietica in Italia. Mentre le condizioni di salute di Togliatti erano altalenanti, in tutte le città si scatenò il pandemonio. Le rappresaglie si conclusero con un bilancio pesantissimo più di venti morti e duecento feriti. A Pisa la vendetta comunista si scatenò contro Vittorio Ferri, 20 anni, ragioniere di professione, studente alla facoltà di Scienze Economiche e militante del Movimento Sociale Italiano. Le strade cittadine erano bloccate e presidiate costantemente da scioperanti. Uno di loro, alla vista del giovane ragioniere, sostenne che si trattasse di un famigerato uomo del Movimento Sociale Italiano che aveva partecipato al comizio di Giorgio Almirante addirittura dello scorso aprile. Vittorio Ferri fu completamente circondato ma riuscì a rompere il cerchio del primo gruppo e saltò su una carrozza che stazionava nelle vicinanze. Tentava in qualche modo di sottrarsi ad una morte certa. La carrozza si avviò a corsa sfrenata verso in centro città e cominciò il tragico inseguimento. Poco prima di raggiungere Piazza dei Cavalieri, Vittorio Ferri, estrasse la pistola e sparò. Ormai raggiunto fu tratto a forza dalla carrozza e linciato da mille mani e da mille piedi e poi giustiziato con tre colpi di pistola al torace e infine alla testa. Trasportato subito dopo in ospedale, i medici constatarono il decesso. Il processo, per esplicita richiesta dei parenti, per evitare turbamenti dell’ordine pubblico, iniziò dopo alcuni anni a Firenze. Furono incolpati di concorso in omicidio per aver infierito su un corpo agonizzante, Nello Bensi, operaio che morì prima della fine del processo, e Ivo Senesi, ex partigiano della Nevilio Casarosa iscritto al Partito Comunista Italiano. Invece, la persona che sparò contro Vittorio Ferri non fu mai identificata.
"CORRIERE DELL'INFORMAZIONE" - 3 DICEMBRE 1953
L’attentato a Palmiro Togliatti del 14 luglio 1948 scatenò incidenti e
insurrezioni in tutta Italia e provocò a Pisa la morte di un simpatizzante
missino, Vittorio Ferri, avvenuta lo stesso giorno dell’attentato, 69 anni fa.
Il primo di una serie purtroppo lunga di delitti impuniti. Ferri era stato
riconosciuto come partecipante a un comizio missino. Così l’uccisione di Ferri
– linciato e poi finito a colpi di pistola – viene raccontata il 16 luglio del
1948 dal quotidiano L’Ordine sociale, espressione dell’area missina prima della
nascita del Secolo d’Italia: “Come già informammo, il primo giorno di sciopero
a Pisa, un giovane di appena vent’anni fu barbaramente linciato da una folla
imbestialita. Siamo ora in grado di fornire particolari sul tragico fatto che
costò la vita a Vittorio Ferri. Particolari che oltre a dimostrare la falsità
di tutte le notizie diffuse, sia a Pisa che altrove, sulla pretesa provocazione
del giovane, dicono anche il suo grande coraggio e l’infinita vigliaccheria
degli altri”.
“Alla luce delle ultime
risultanze di una inchiesta condotta sul posto, i fatti possono così brevemente
ricostruirsi. Verso le ore 17 del giorno 14, mentre le strade adiacenti a
piazza dei Cavalieri, brulicavano di facinorosi che, dopo lo ‘spontaneo’
abbandono del lavoro, si dirigevano all’ancor più spontaneo ‘comizio’, un
gruppetto di costoro credette di riconoscere in un giovane tra la folla, uno
dei ‘famigerati’ uomini del Msi, uno di quei ‘fanatici’ colpevoli, nientemeno,
di avere assistito al comizio di Almirante dello scorso aprile” (nell’aprile
del 1948 si erano tenute le prime elezioni politiche del dopoguerra e il Msi
aveva presentato la sua lista, ndr).
“Dagli al fascista!”
“Immediatamente si cercò di eccitare la folla, e dalla folla si
levarono urla di minaccia: ‘Dagli al fascista!’. In realtà il fascista era
stato seguito, in realtà gli agitatori erano pronti a circondarlo, perché
quella folla di ‘spontanei’ scioperanti e di ‘spontanei’ dimostranti, aveva
bisogno di un eccitante, e il sangue è un ottimo eccitante sulla piazza.
Vittorio Ferri si vide circondato, decisamente, disperatamente, ruppe il
cerchio del primo gruppo, saltò su una carrozza che stazionava nelle vicinanze,
ingiunse al vetturino di frustare il cavallo. Tentava di sottrarsi a quella
morte tremenda che le urla e i volti eccitati e minacciosi gli facevano sentire
vicina. La carrozza si avviò a corsa sfrenata verso il centro della città. Ma
la folla era lanciata. E cominciò il tragico inseguimento. Poco prima di piazza
dei Cavalieri, ormai quasi raggiunto, Vittorio Ferri estrasse la pistola e
sparò. La morte vicinissima gli aveva infuso il coraggio disperato e l’estrema
decisione di chi è pronto a tutto. In via Consoli del Mare, venne raggiunto.
Allora, tratto a forza dalla carrozza, Vittorio Ferri, il coraggioso ventenne,
venne linciato. Straziato il corpo da mille mani e da mille piedi, dilaniato a
furia, tre colpi di pistola, al torace e alla testa, lo finirono”.
Da “Secolo d’ Italia”